L’Italia, a differenza di altri paesi, ha tradizionalmente un mercato del lavoro basato sui contratti collettivi nazionali, quindi bisogna tener conto di questa specificità per evitare che l’introduzione di un salario minimo generalizzato possa determinare una diminuzione dei salari in comparti dove esiste una dinamica positiva tra sindacati e imprese.
A questi contratti collettivi, ma solo se siglati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, bisogna riconoscere – con legge – il loro valore legale erga omnes (cioè l’applicabilità a tutti i lavoratori del settore interessato), anche per contrastare il fenomeno dei cosiddetti “contratti pirata” siglati dalle imprese con organizzazioni sindacali di comodo e non rappresentative.
Solo dopo si potrà introdurre un salario minimo contrattuale nei settori in cui non esiste un contratto collettivo applicabile, in particolare in quelli a più alta incidenza di povertà lavorativa. La soglia minima, da determinare anche nel dialogo con le parti sociali, deve rispettare i parametri della direttiva europea in materia (attualmente per l’Italia, secondo alcune stime, il salario minimo potrebbe essere pari a circa 9 euro lordi orari).